Il Protettorato non sarebbe lo stesso, se non ci fosse questo parco pieno di colori, di fiori, di cespugli in festa. E’ il segno e il simbolo dell’accoglienza che qui si respira in ogni angolo e che colpisce subito chi entra: perché chi entra si sente subito accolto, appunto, anche grazie a questo giardino così ben curato. Dietro questa cura c’è un volto e un nome, quello di Willy, il giardiniere della Fondazione. Prima c’era una ditta, a curare il prato e i fiori, ora invece c’è lui. Tutto è iniziato durante il lockdown: “Il giardino era un po’ abbandonato e si stava rovinando, io avevo voglia di muovermi, di fare qualcosa. E sapevo fare giardinaggio, perché avevo studiato e avevo imparato a farlo. E così, senza chiedere il permesso a nessuno, ho iniziato a curare il giardino”. E lo ha fatto così bene, Willy, che tutti quanti, a partire dalla Presidente, sono rimasti meravigliati e ammirati quando si sono resi conto della sua grande capacità,a ma soprattutto della cura e dell’amore che metteva in quel lavoro. “Da quando ero in Italia, sognavo di fare il giardiniere, perché il vedere e la natura mi fanno provare emozione”, ci racconta Willy, che oggi ha 20 anni ed è assunto a tempo indeterminato come giardiniere del Protettorato. Non vive più qui, ma viene ogni giorno, mattina o pomeriggio, a prendersi cura delle piante ma non solo di quelle. “Qui conosco tutti, ci sono ragazzi ed educatori con cui ho vissuto, i bambini anche mi conoscono, tutti mi salutano e si fermano a chiacchierare. Non è solo un lavoro, è molto di più: qui sono cresciuto, qui mi hanno aiutato a realizzare il mio sogno e mi piace poter dare qualcosa in cambio: do una mano con i ragazzi, soprattutto quelli che stanno per lasciare la casa famiglia e sono spaventati, come lo ero io. Perché prima di andare via di qui, siamo tutti spaventati: qui si sta bene, molto bene, ma fuori chissà. Io che ci sono passati posso aiutarli ad avere fiducia, a stare tranquilli perché tutti quelli che escono da qui hanno ciò che serve per vivere anche fuori di qui: io avevo una formazione, un lavoro, la patente e avevo imparato a fare tante cose, anche i piccoli lavori di manutenzione”.
Oggi Willy abita in zona Boccea, insieme ad altri “fratelli”: così chiama i suoi amici. Era il 28 marzo del 2017 e lui aveva 15 anni, quando è sbarcato in Calabria, da solo. “Ci hanno portati in Sicilia, in un centro di accoglienza, ma ho capito subito che da lì dovevamo andar via presto: ci davano solo da dormire e da mangiare, non potevamo fare niente. Dopo qualche mese, sono riuscito a scappare, insieme ad altri tre. Con i pullman, siamo arrivati insieme a Catania, poi lì ci siamo divisi: loro andavano uno in Francia, uno in Belgio, uno in Svizzera. Io invece volevo venire in Italia. Sono arrivato a Roma da solo, viaggiando sempre in pullman, e sono andato direttamente alla polizia, per chiedere aiuto. Sapevo che non potevano rimandarmi indietro”.
Parlava francese, Willy, ed è riuscito a farsi capire. Anche i poliziotti capivano? “Sì, sono stato fortunato, sapevano il francese! Mi hanno portato subito in una prima accoglienza sulla Salaria, dove sono rimasto tre giorni, poi da lì sono stato trasferito in una casa famiglia a Boccea, dove sono rimasto fino al 2019”.
E’ lì che Willy a iniziato a capire cosa volesse fare da grande: “Stare in mezzo alle piante mi dava belle emozioni. Finita la terza media, chiesi quindi di poter studiare per diventare giardiniere, ma lì non era possibile farlo, i corsi costavano molto. Ne ho parlato con gli operatori di Medici senza Frontiere e grazie a loro sono arrivato alla Fondazione. Qui vivevo in una casa insieme ad altri ragazzi, anche italiani, e stavamo molto bene. Già parlavo italiano, ormai lo avevo imparato, e ho potuto studiare quello che sognavo: giardinaggio e anche arte floreale. Tutti mi hanno aiutato a realizzare il mio sogno di diventare giardiniere. Durante il lockdown, vedevo quel bel giardino un po’ abbandonato e ho iniziato a prendermene cura: era un modo per fare qualcosa e anche per mettere in pratica quello che avevo imparato. E così mi hanno proposto di lavorare qui, come giardiniere: ho firmato il contratto, a tempo indeterminato. Nel frattempo, ero diventato maggiorenni, ma non mi hanno mandato via: mi hanno dato una stanzetta tutta per me, dentro la casa famiglia, poi mi hanno aiutato a trovare una sistemazione fuori. Oggi abito con tre fratelli e vengo qui ogni giorno, a prendermi cura delle piante e a dare una mano come posso. Qualcuno mi dice: ‘Ma perché vai ancora lì? Perché non cerchi un altro lavoro, il mondo è grande e bello’. Io lo so che potrei trovare un altro lavoro, ma non voglio: non lavorerei per nessun altro, neanche se mi pagassero il doppio, perché per me contano di più le relazioni e qui ci sono le relazioni che contano per me. Magari un giorno creerò un’azienda tutta mia, potrei farlo, perché ormai conosco il mestiere. Ma questo posto non lo lascerò, perché è molto più che un lavoro. Qui si sta bene, davvero bene. Capisco i ragazzi che hanno paura del mondo fuori, ma io dico sempre di stare tranquilli, perché da qui non li caccia nessuno: andranno via solo quando sono pronti per andare: nessuno se ne va da qui senza avere tutto ciò che gli serve per costruirsi un futuro”.