“La scuola è un elemento fondamentale per un ragazzo o una ragazza che vive in casa famiglia: è l’opportunità di aver un’altra collocazione, di scrollarsi di dosso un ruolo. È una dimensione di normalità in cui questi ragazzi sono esattamente come gli altri”. A parlare è Cristina Pennacchio, la professoressa di Lettere di un ragazzo del Protettorato.
N. ha 13 anni e vive in casa famiglia presso la nostra Fondazione. E’ la sua professoressa a raccontarci la storia di un incontro fortunato: quello tra la scuola e la casa famiglia, appunto, che insieme hanno accolto, anzi abbracciato N., facendosi carico del suo complicato vissuto, per traghettarlo verso un orizzonte fatto di possibilità e di fiducia. Ed è solo così, unendo le forze e creando una rete solida e un dialogo costante, che la scuola e la casa famiglia devono e possono mettersi al servizio di questi ragazzi.
Ascoltiamo, nelle parole della professoressa Pennacchio, la storia di questo incontro.
Quando ho saputo che avrei avuto in classe N., mi sono preoccupata: avrei saputo accogliere in modo adeguato e opportuno un ragazzo che vive in casa famiglia, che ha vissuto situazioni pesanti, che porta con sé tanti problemi? Cosa avrei potuto fare io e come avrebbero reagito i suoi compagni? Prima che iniziasse l’anno scolastico, sono andata a conoscerlo in Protettorato, perché potesse arrivare in un ambiente in cui conosceva almeno me, visto che in classe tutti i compagni erano nuovi. Mi è stato presentato come un ragazzo problematico, aggressivo, insomma molto difficile. Stava iniziando la 1a media, ora siamo in 3a e credo di poter dire che sta andando tutto bene, anzi benissimo: e questo si deve soprattutto alla presenza attenta e costante degli educatori e dei responsabili della Fondazione. Mi sono trovata davanti un ragazzo non solo seguito, ma super seguito: il contatto frequente con l’educatore è fondamentale per noi, perché solo questo ci permette di capire ragazzi come N. ce di interpretare alcuni comportanti. Va detto però che lavorare con N. si è rivelato molto facile: diversamente da quanto tutti ci aspettavamo, N. in classe è un ragazzo calmo, disponibile, attento. Anche gli educatori inizialmente non credevano ai loro occhi. Ma ripeto, proprio il rapporto costante con gli educatori e i consigli preziosi di Emanuela, la referente della casa famiglia di N., sono stati fondamentali in questo percorso. La chiamo ogni volta che ho un dubbio o un problema, mi consulto con lei se lo vedo giù, se ho paura che qualcosa non vada. Secondo lei, N. a scuola si è “reinventato”, si è sentito nuovo, perché non sapevamo niente di lui. Ha sentito di poter costruire una propria identità nuova, positiva, e ha deciso di farlo, stando poi attento a non “rovinarla”.
Certo, ci sono stati momenti in cui abbiamo avuto paura, perché N. ha avuto tanti eventi pesantissimi, tante perdite importanti a distanza di pochi mesi. Ne ha avute oltre ogni capacità di sopportazione, ma lui è molto forte e ha saputo reagire. In classe non crea alcun problema e credo che si sia calmato anche in casa famiglia. Della sua storia familiare e della sua situazione personale non parla. L’anno scorso in DAD ci ha messo un po’ per partecipare: si vergognava della sua camera, non voleva che si vedesse dove viveva, quindi partecipava con la telecamera spenta ed era una lotta. Ma io non potevo fare eccezioni, per lui devono valere le stesse regole che valgono per gli altri. Piano piano, lo abbiamo convito. Ma ha molte remore a parlare della sua situazione, non so se abbia mai invitato i suoi compagni in Protettorato. Gli altri compagni sanno che vive in casa famiglia, ma non ne parlano neanche con noi. È una cosa di cui hanno un grande rispetto e che trattano con delicatezza.
Come insegnante, questa esperienza mi sta facendo crescere molto: grazie al rapporto con l’educatrice referente, ho capito per esempio che no devo avere attenzioni diverse verso N. ma è importante che mi comporti con lui esattamente come con gli altri. Così, N. prende i voti bassi quando non studia e le sgridate quando se le merita: se non lavora bene, deve avere un feedback coerente. E lui ci tiene molto ai voti, quindi si impegna tanto.
La scuola è preziosa per i ragazzi come N.: è una dimensione in cui staccano anche rispetto ai problemi che hanno, è una bolla in cui diventano qualcosa di diverso. Abbiamo fatto di tutto perché si sentisse accolto, i ragazzi gli vogliono bene e tutti colleghi del consiglio di classe sono stati attenti e premurosi.
Ma la scuola è attrezzata per accogliere questi ragazzi? Cosa accadrebbe se non ci fossero insegnanti pieni di buona volontà ed educatori disponibili a un confronto continuo?
No, la scuola non è attrezzata, in generale, ad accogliere le situazioni difficili. Per esempio, ho avuto in classe una bambina con una grave disabilità. Siamo riusciti a trovare un canale, un linguaggio, un modo per includerla pienamente, perché la scuola ha messo in campo una docente di sostegno bravissima, che ha lavorato molto oltre il dovuto. Ma tutto si basa sul buon senso e la disponibilità del singolo. Questi ragazzi hanno bisogno che la scuola offra loro attività diverse, più pratiche, quindi servono maggiori risorse: quella ragazza, per esempio, era contentissima di fare un laboratorio di ceramica con una nostra collega che era andata in pensione, ma tornava a scuola solo per lei. Noi insegnanti avremmo bisogno di qualcuno che ci aiuti e ci dica come fare: non possiamo seguire solo il nostro buon senso.
Per quanto riguarda N., noi abbiamo avuto la fortuna di avere davanti una casa famiglia che segue in modo encomiabile, ma se fosse stata una struttura meno presente sarebbe stata dura: lavoro bene con N. perché lavoro bene con i suoi educatori e mi confronto continuamente con Emanuela. Ma non riesco a immaginare come avrei fatto se non avessi avuto questa sponda. E’ importante, importantissimo, che scuola e casa famiglia lavorino insieme. Così come è importante che la gli insegnanti siano formati e sostenuti nel loro lavoro, soprattutto quando si trovano davanti nuove sfide.