Giornata migranti, in Protettorato l’accoglienza diventa inclusione

“Proprio pochi giorni fa abbiamo ricevuto una riconoscimento che ci ha riempito di gioia e soddisfazione: il monitoraggio svolto in Fondazione dal servizio centrale del Sai (Servizio Centrale del Sistema di Accoglienza e Integrazione). E’ andato non bene, benissimo. Gli osservatori hanno parlato con i responsabili, con gli educatori e con gli operatori: e ci hanno detto che è uno dei progetti migliori di accoglienza e inclusione di minori stranieri non accompagnati che abbiano visto finora. Perché inizia con l’accoglienza e non finisce finché non si realizzano autonomia e inclusione: fin quando i ragazzi non sono in grado di prendere in mano la propria vita, noi continuiamo a stare accanto a loro. Accogliere non basta: bisogna accompagnare e sostenere fin quando è necessario: fin quando, cioè, non trovano una casa, un lavoro, una strada da percorrere”. Elda Melaragno, presidente della Fondazione Protettorato San Giuseppe, non nasconde la sua grande soddisfazione per i risultati raggiunti nell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, che tanto sta impegnando in questi anni la Fondazione.
“I ragazzi arrivano spesso giovanissimi, quasi sempre spaesati, senza conoscere una parola d’italiano. Noi forniamo loro l’alfabetizzazione, innanzitutto, grazie al lavoro di rete sul territorio, ma stiamo attenti a cogliere ogni loro potenzialità e valorizzarla, perché possano realizzare i loro sogni. E quando compiono 18 anni, momento cruciale e spesso drammatico, noi non li mettiamo certo alla porta: grazie all’impresa sociale Solinc, di cui abbiamo favorito e sostenuto la nascita, mettiamo a loro disposizione un appartamento in cui vivere insieme, fin quando non potranno permettersi una casa. E li aiutiamo a trovare lavoro, rendendoli competenti e competitivi. Ho in mente i nomi e i volti di tanti ragazzi, arrivati pieni di timori, a volte traumatizzati, che poi qui hanno trovato una comunità, il sorriso e la capacità di credere in se stessi: oggi alcuni sono cuochi, altri baristi, altri parrucchieri. Perfino un ragazzo sordo ha imparato la lingua dei segni e oggi comunica con tutti e si sta preparando per lavorare in un ristorante: si chiama Youssef ed è veramente in gamba: ha saputo valorizzare al meglio il grande patrimonio di professionalità e competenze che abbiamo messo a sua disposizione”.

Il rapporto di Save the Children

L’esempio del Protettorato è uno dei buoni esempi che non mancano, in un panorama che però è spesso molto critico: la fotografia è stata scattata da Save the Children nel rapporto “Nascosti in piena vista”, che approfondisce la condizione dei minori stranieri non accompagnati e accende una luce proprio sul difficile capitolo che si apre quando questi ragazzi compiono 18 anni. “Frontiera 18”, così la chiama l’organizzazione umanitaria, con cui anche la Fondazione collabora per garantire a questi ragazzi percorsi positivi e arricchenti.
Secondo i dati di Save the Children, tra il 2014 e il 2024 sono arrivati in Italia, da soli, via mare, 127.662 minori stranieri non accompagnati (MSNA). Sono in prevalenza adolescenti e preadolescenti, ma in alcuni casi anche bambini, con una media di 11.600 arrivi l’anno. In Italia sono presenti nel sistema di accoglienza e protezione 19.215 minori stranieri non accompagnati. Oltre il 75% ha tra i 16 (23,75%) e i 17 anni (52,15%), il 13,66% tra 7 e 14 anni e solo l’1,65% è nella fascia 0-6 anni.
Fino al 30 settembre 2024, più di un minore su 4 nel sistema di accoglienza era ospitato in grandi centri, tra cui strutture temporanee ed emergenziali, di questi oltre il 6% (252) in strutture per adulti. Al compimento dei 18 anni tutti i nodi vengono al pettine e le strade si biforcano. La mancanza di documenti o il ritardo nel loro rilascio può rallentare significativamente il percorso di inclusione. Ciò porta a creare una situazione di grande incertezza per i giovani, limitando le loro opportunità di accesso al lavoro, ai servizi, anche sanitari, e alla formazione. Ci sono ragazzi e ragazze che, attraverso il cosiddetto prosieguo amministrativo, ottengono dal Tribunale per i Minorenni la possibilità di continuare ad essere sostenuti fino ai 21 anni nell’accesso al lavoro, negli studi o nella ricerca di un’abitazione. Storie (in Fondazione ne abbiamo tante) che testimoniano come una buona rete di accoglienza e inclusione possa fare la differenza. Al 17 ottobre 2024 risultano attivi 1.601 prosiegui.
Solo poco più di un minorenne su due (58,1%) a giugno 2024 era accolto in centri di seconda accoglienza, SAI o extra SAI. Ciò significa che i minori stranieri non accompagnati sono spesso ospitati nei centri di accoglienza straordinaria (CAS minori) o in altre tipologie di strutture emergenziali. In queste strutture sono garantiti solo servizi di base e i minori stranieri dovrebbero restare solo per il tempo necessario al trasferimento nelle strutture SAI, in quanto inadatti a rispondere alle esigenze di ragazzi e ragazze per periodi più lunghi.
Risulta scarsamente applicato per i minori non accompagnati il ricorso all’affido familiare, promosso dalla legge 47 del 2017 come prioritario rispetto alle strutture: a giugno 2024 appena il 20,4% dei minorenni presenti in Italia risultavano accolti in famiglia, ma di questi ben l’87% è rappresentato da minori ucraini.

Ahmed

La storia di Ahmed, dal Mediterraneo al salone di bellezza

Tra le storie di bella inclusione di minori stranieri non accompagnati in Protettorato, c’è quella di Ahmed, arrivato dall’Egitto alla Sicilia e poi trasferito a Roma, presso la Fondazione. Aveva 16 anni. Oggi vive per conto suo, insieme a un amico egiziano anche lui e, grazie al sostegno della Fondazione, è potuto diventare un parrucchiere di successo.
“Quando sono sbarcato in Sicilia, non parlavo per niente l’italiano, non capivo nulla. E’ triste, all’inizio, vivere in mezzo a persone che parlano un’altra lingua. Appena arrivato qui alla Fondazione, ho frequentato dei corsi, la scuola e anche in casa famiglia studiavo l’italiano, con l’aiuto dei volontari e degli educatori. Ho fatto presto amicizia con tutti: quando ho iniziato a parlare l’italiano, ovviamente è stato più facile fare amicizia anche con i ragazzi italiani. Facevamo delle belle partite di calcetto, a volte facevamo tornei anche con squadre eterne: non eravamo molto forti, ma ci divertivamo. E ho anche iniziato a lavorare, quasi subito. Fin da ragazzino mi piaceva l’idea di fare il parrucchiere. A Ricciocapriccio ho iniziato a imparare davvero il mestiere. All’inizio non capivo e non parlavo l’italiano, quindi mi esercitavo soprattutto sui manichini: osservato, provavo a imitare e principalmente facevo i lavaggi. Poi, una volta imparata la lingua, anche imparare il mestiere è stato più facile: ora sono tecnico del colore, faccio le pieghe, le acconciature. Alessandra, la proprietaria, è una persona molto disponibile, mi tratta come un figlio. Ora inizio a fare anche i tagli, ho seguito dei corsi, ma devo ancora migliorare. Tagliare i capelli non è facile. Nel negozio di San Giovanni mi sono ambientato bene, le clienti mi conoscevano, erano un po’ sempre le stesse. Due anni fa mi sono trasferito in un altro negozio, sempre di Ricciocapriccio, nel quartiere di San Lorenzo. Tutti clienti nuovi, ma ho imparato a conoscerli e farmi conoscere. Quando ho compiuto 18 anni, sono uscito dalla casa famiglia. Ho preso una casa in affitto con il mio amico egiziano, uscito anche lui insieme a me. Lavoriamo tutti e due, lui è barista, così riusciamo a pagarci le spese e ad essere autonomi. Io sono preso molto preso dal lavoro e dallo sport: gioco in prima squadra, sto facendo provini in diverse società, mi alleno ogni giorno. Non ho perso i contatti con gli amici della casa famiglia: li sento e ogni tanto li vedo. Con Mura, soprattutto, un ragazzo italiano un po’ più grande di me, ci vediamo una volta a settimana per allenarci insieme alla Caffarella. Con gli altri, ci sentiamo e ogni tanto giochiamo a calcetto. Qualche volta, torniamo in Protettorato a salutare i ragazzi e gli educatori”.
Il sogno nel cassetto? “Un salone tutto mio. A Roma”.
E il passato in casa famiglia? “Tanti bei ricordi”.

Leggi anche:

La casa famiglia non strappa, ma ricuce. L’importante è fare “sistema”

Accogliere un minore straniero non accompagnato sordo? Si può

Youssef, dalla Tunisia al Protettorato, senza poter sentire

Solinc, la nuova impresa della Fondazione. “Così diamo le ali”

Giornata del Rifugiato, l’accoglienza in Fondazione

L’inclusione si fa (anche) ai fornelli

Da minori non accompagnati a chef

Dopo la casa famiglia: le voci di chi ha compiuto 18 anni

Quando alla porta bussa un minore straniero non accompagnato. Maria racconta

Minori stranieri non accompagnati, a lavorare s’impara

Lascia un commento...